cos'hai?

I miei occhi non riescono più a mettere a fuoco le cose vicine. Sento odori di cose che non vedo e musica che non conosco. Formicolio alle mani che sembrano toccare il tempo e sapori lontani che mi accarezzano il palato. Sono nella Londra che non ricordo, passeggio con un cappotto nero lungo, pantaloni a scacchi grigi, camicia viola e spessa e una immensa sciarpa bianca. Ho i capelli un po' troppo lunghi e umidi di pioggia. Sento walking on the sunshine provenire da qualche pub non troppo distante. È sera; buio e le luci illuminano nuvole alte. Ogni angolo un lampione che mi distrae dalla modernità dei coloratissimi cartelli pubblicitari. Non ho una meta e la voce della gente è solo un unico suono articolato senza senso. Entro in un pub piccolissimo con innumerevoli boccali vuoti sul bancone e gente che urla per superare l'ostacolo di un pezzo anni '80 messo a volume un po' troppo alto. La musica è praticamente l'unica fonte di illuminazione. Qualcuno accenna movimenti trascinato dal ritmo di Salomon Burke questa volta. Mi seggo e lo specchio di fronte a me riflette un sorriso così statico da apparire quasi finto (che subito correggo con un atteggiamento probabilmente eccessivamente artificioso). È bastato ordinare per tradirmi. Uno scotch con due cubetti di ghiaccio e qualcuno accanto a me mi chiede di dove fossi. Italia, e già un po' mi pento di aver capito la sua domanda. Non voglio essere loquace; mi giro e mi concentro su una coppia che sembra discutere su qualcosa di poco interessante con grande interesse. Reciproco. Parlano ma ogni loro movimento esprime qualcos'altro. Lei è bruna, alta e particolarmente magra. Lui non smette di guardarla negli occhi, è ipnotizzato, affascinato, estasiato, ridicolo. La sua giacca è troppo stretta sopra quel maglione e ha chiaramente dimenticato di avere una birra sul tavolo. Cosa faccio nella vita? È di nuovo il tipo accanto a me. Questa volta sto assorbendo lo scotch che non è più nel mio bicchiere (svuotato ad una velocità imbarazzante). Rispondo vagamente ma usando troppe parole. Scopro che non è solo. Nella fila in ordine dopo di lui: ragazza bionda, capelli a caschetto dall'aria inesorabilmente francese. Altra ragazza bionda, ma così bionda e bianca che il mio sguardo rimbalza senza che lei mi abbia trasmesso nulla. Ragazzo vestito con poca cura, allegro e familiare. Altro scotch? No, mezzo litro di bionda mi sembra più opportuna. Non sarà chiaro fra mezz'ora come siamo arrivati ad accendere una discussione tutti e cinque, seduti nel tavolino accanto la coppia. Intanto mi presento e dimentico nello stesso istante in cui mi viene detto il nome di ognuno di loro. Forse William quello accanto a me. Lei Cyndi? Lei proprio lei, la prima bionda mi chiede se studio, cosa studio. Medicina. Wow!!! …? Detto con eccessivo stupore. Tu? Qualcosa a che fare con la fisica. Nonostante abbia cercato di spiegarmelo utilizzando più parole di quelle che erano necessarie, io feci solo finta di capire. Sorrido, parlo, bevo, sorrido. C'è qualcosa che non mi convince nella bionda dall'aria francese. Poi mi ricordo che solo le ragazze che mi piacciono non mi convincono mai del tutto. Quindi lei mi piace. E non mi convince. Inizio a guardare ogni piccolo particolare del suo volto, tornando sempre sui suoi occhi di cui naturalmente non ricordo il colore. Ma ricordo perfettamente quanto erano grandi e quanto penetravano i miei. Quasi da aver paura. Improvvisamente mi ritrovo ipnotizzato, affascinato, estasiato e ridicolo. La sua voce, ecco, la sua voce è troppo... acuta, infantile. Ritorno per un attimo a guardarmi allo specchio dietro il bancone. La coppia che era dietro di me non c'è più. Ma non mi importa più di quanto mi importa la bionda davanti a me. Semplicemente è il mio cervello a sorridere. Dove si va più tardi?

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