brainstreaming II - senza occhi

Impazziva all’angolo della piazza, di una piazza troppo buia per poterla notare senza sbatterci contro. Troppo pulita come i vetri infranti di cuori puri. Senza occhi, protetto dagli sguardi altrui.

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Ala del destino che rincorre frammenti di sabbia raccolti senza senso in ore oziose guardando nubi di fumo ammorbidire nella pioggia lacrime che dal ghiaccio trasformavano la terra in serbatoio di odori. Dolori. Il respiro corto che basta a sopravvivere e che diviene consapevole al momento del risveglio. Tosse mattutina che non dimentica il sonno rumoroso della notte.

Ingombro di possibilità non credeva più ad un singolo alito di saggezza e oltrepassava discariche di mare. Colava dal suo cervello una lava di inutile polpa confusa e burrascosa. Come sangue, come idee carnee. Compiacendosi di quello svuotarsi perché avrebbe fertilizzato altra vita. Come nasce da caos altro caos sistemato e sistemico che può condurre forme di energia conoscitiva impregnate da logica irrazionalità. E dal caos, casualità concrete che dimostrano qualcosa al di là di un destino non creduto. 

Intanto sentiva quella tromba, ancora una volta distante, echeggiante tra i vicoli di una città. Vicoli dai palazzi alti e sontuosi ma sporchi di storia. Ancheggiava la città e le luci affievolite dal vento brillavano instabili e calde da riscaldare l’aria. L’aria cullata dalla sua voce, perché era lei che declamava sorrisi dolci come uva troppo matura e sfatta. Dolcissimi. Sorrisi cantati con voce incomprensibile e per questo fascinosa come una figura che fuma solitaria su un tavolino del tramonto. 

A volte costeggiamo momenti di alacre follia senza lambirli un istante per non sporcarci le mani di sapienza. Come grammofoni senza puntina che danneggiano senza dire nulla. Visi allibiti, velieri abbattuti, vene abboccanti a vasi avallati da velleità astruse. Allineati velocemente, astri vetusti, arpeggi vagamente allucinanti e vacillanti. Momenti di strana veggenza che non derivano da alcun modo di vivere. Provenivano dalla cocente ferocia di un lupo senza scrupoli (come amanti parsimoniosi che non condividono il letto). Gocce di sudore scendevano dalle estremità sul pavimento già ammoniacato. Non c’è più la schiavitù di un tempo. Povero tempo. Maleodorante melma mollemente medicamentosa. Cecità di volti conosciuti in guerra che sono gli stessi di una vita mal guardata. 

Un dio che non obbedisce alle credenze degli uomini non merita di esistere. 

Premura inconsueta, premura pressante che non lascia scampo al tempo e lo supera e lo denigra. Premura benevola che vola senza dar segno di sé e corre corre senza guardarsi indietro. Premura inoffensiva che non calpesta nella sua veemenza. Premura che perdona ogni tuo passo ma lo ignora se sarà troppo lento e non si lascia seguire. 

Lento lascivo presagio di riflessione. Lenta pesantezza che trascini su un terreno ferito. Ombre allungate e molli.
Molla tutto.
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Aquiloni che fanno volare le mani dei bambini e la terra che corre sulle mie gambe. La terra che riscalda il sole, la musica che mi ascolta, le foglie dell’albero che accarezzano il vento e un profumo che emana gelsomini. Le luci che guardano i miei occhi, gli stessi occhi che chiudono il sonno. Scogli che si infrangono fra le onde e mare che naviga navi. Abiti che mi indossano, l’aria che mi respira. Il mio viso sgorga dalle lacrime per tristi parole che mi pensano.

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