il giudizio universale

"Se qualcuno giudicasse invano ciò che la mente giudica umano sembrerebbe che fiori di pesco cadessero da un monte imperlato. È come se la foce rimproverasse ogni spiffero di vento inventato dal giorno e le foglie giungessero a strane e confuse conclusioni. Ma mentre l’aldilà permette l’ausilio di un prodotto spregiudicato come la morte, il mio mondo rimane in attesa di una parola, quella che giunge così vicino e così lontano da risultare inafferrabile. E intanto il vento promuove un nuovo sponsor di carni fresche precotte. Come fare? Tutti dicono che non ci si può fidare, ma il vento parla e non possiamo fare altro che ascoltarlo! Straripa, inoltre, quel fiume di sangue e neve che giorni fa mi rimproverava per aver inoltrato uno strano giudizio. Non ricordo bene, ma sembrava che mi si consigliasse di lasciare perdere… si... forse..."

I pensieri che giungevano allora non sconfinavano come ora sulla pianura di fronte casa, ma sembravano impazziti e volavano senza una meta su quel picco di letame ridendo ma senza cattiveria, come se fosse nella loro natura ridere al letame sottostante. 


La valigia che preparai per quel viaggio di pensieri risultava piccola. Ma non perché avessi troppa roba da portare con me, ma perché era proprio piccola! Circa un centimetro per unovirgolacinque. Decisi di portare solo cose rosse. Ma mancavano i calzini per cui scesi dalla finestra e andai in giro a cercare. Non trovai nulla, tutti dormivano (erano le 3 del mattino) ma una donna mi fissava seduta su uno scalino. Era tutta vestita di rosso e le chiesi se aveva dei calzini rossi. Non sentiva… mi guardava intensamente e sorrideva gradualmente, molto gradualmente fino a ridere istericamente come una indemoniata! Non capii, la salutai mentre moriva rotolandosi a terra, girai e andai a casa. Rimasi impressionato da quella scena, mai mi capitò una cosa del genere o forse sempre. Sotto casa, notai che la finestra era chiusa, allora decisi di entrare dalla porta ma un gatto non me lo permetteva. Era un persiano con così tanto pelo da occupare tutta la base della porta. Non capivo dove fosse la testa, capii che era un gatto e non un cuscino solo perché miagolava teneramente. Andai per accarezzarlo, ma ero confuso! Come gli do da mangiare se non so dov’è la testa?! Dunque lo scavalcai ed entrai quatto quatto.

Dentro era tutto bianco perché il sole stava spuntando ed andava inondando di luce la camera principale, quella con le piante verdi e il tetto giallognolo. Mi distesi a terra per cogliere un po’ di quella luce.

Mi addormentai e sognai tutto quello che feci prima, della notte, del giudizio, della donna rossa. Ma lo sognai tre volte, come un film a ripetizione e continuo a sognarlo ancora adesso, ancora con queste parole, ma anche quelle che sto per scrivere, così che quando mi alzo inizio a pensare:

“se qualcuno giudicasse invano ciò che la mente giudica umano…”

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