apatia

venti e trenta. essere se stessi con un caffè da tre euro a un tavolino di un bar. come unica volontà, quella di non far capire la propria scrittura. caffè gustato in tutta la sua borghesia, con una laurea nella testa e una tromba nella borsa. vorrei avere un quaderno consunto e una penna elegante. 

coppie e in mezzo io, solo, esattamente come voglio essere. 

avevo vagato per far passare il tempo senza volere davvero nulla. un panino squallidissimo prima di trovarmi seduto in quell’elegante bar senza ispirazione, cercandola partendo dall’imbarazzo di un me con cappello, giacca e borsa che chiede di poter avere un caffè e combatte contro il desiderio di una sigaretta, timoroso del giudizio di gente con la quale non condivide nulla, gente che intimorisce per il ruolo che occupa, per la caparbia fermezza con la quale vive la propria maschera. non siamo tutti uguali.

uno di loro sperando di non essere notato si affaccia sui miei fogli nel tentativo di capire chi io sia. ed è forse proprio qui dietro, che prova a leggermi, che muore di curiosità. quello che voglio, quello che temo. giro lentamente la testa verso di lui e improvvisamente sento tutto il ridicolo del suo atto. 

ascolto con calma il silenzio di riflessione intorno a me, di interrogativi intensamente fugaci. e rido e sorrido nel tentativo di abbattere il muro che mi sono creato. è terapeutico tutto ciò. la musica che proviene dall'angolo della strada e il silenzio che diventa nervosismo. persino la cameriera rimane stranita alla mia richiesta di un altro caffè. la stranezza che mi rende diverso, per così poco. quello che io avrei visto in un altro come fascino, per loro è diversità. 

vorrei avere un accento straniero. quello della coppia accanto a me è un misto di francese e italiano. fra due lingue, quello che si sente di più è il silenzio e il tamburellare delle dita di lei sul tavolino. la percepisco senza avere idea del suo volto, senza alzare lo sguardo dalla mia grafia sul quaderno, senza ascoltare quello che viene detto fra un silenzio e l’altro. anche la cameriera inizia a sbirciare nell’attesa di versarmi altro caffè. loro pensano, io semplicemente descrivo la realtà e il solo fatto di scriverla la rende più interessante. 

sono dunque immerso in una bolla di presente. occhi ovunque, ho quasi paura. i fiori sul tavolino sono così belli che sembrano finti, così finti che perdono ogni bellezza. al terzo caffè inizio a vedere colori più vivaci e il mio stomaco smette di lamentarsi e inizia a far male davvero. fumo un'ultima sigaretta e vado via. 
 
una volta un mio amico mi disse che l’egoismo è quando riempiamo il nostro ego di cose inutili.